Il vero peccato di Narciso: rifiutare il ruolo imposto

“Narcisista”. “Egoista”. “Opportunista”. Tre parole spesso usate come insulti, come giudizi morali travestiti da psicologia spicciola. Ma cosa significano davvero? E soprattutto: chi è che le pronuncia, e perché?

Oggi si accusa di narcisismo chi sembra troppo centrato su di sé, chi coltiva il proprio mondo interiore, chi si prende cura di sé stesso senza chiedere permesso. Ma in molti casi, chi accusa non è spinto da un senso etico, bensì da un bisogno frustrato: “Non mi dai quello che voglio da te, quindi sei egoista.”
“Non mi metti al centro, quindi sei narcisista.”
“Cogli l’occasione giusta, quindi sei un opportunista.”

È un meccanismo sottile, ma diffusissimo: usare il linguaggio morale per esercitare un controllo. Un ricatto, spesso inconsapevole, che ci allontana da una verità fondamentale: prendersi cura di sé stessi non è un crimine. È il primo atto d’amore possibile.

Narciso non era un vanitoso

Il mito di Narciso, nella forma tramandata da Ovidio, racconta di un ragazzo bellissimo, inseguito da chiunque lo veda. Ma lui non ricambia. Non per cattiveria: semplicemente non desidera ciò che gli altri si aspettano da lui. Nemmeno Eco, la ninfa che può solo ripetere parole altrui, riesce a ricevere un sì. Alla fine, un amante respinto invoca la vendetta degli dèi. E Nemesi punisce Narciso facendolo innamorare della sua stessa immagine.

Non è un amore sano: è un’ossessione che consuma, perché l’immagine non può essere toccata, né restituisce amore. Narciso si svuota, si spegne. Ma la domanda resta: qual è la sua colpa?

A ben vedere, non ha ferito nessuno. Non ha ingannato, né promesso. Ha solo detto “no”.
Il mito, allora, può essere letto in modo diverso: non come una condanna dell’amor proprio, ma come una punizione simbolica per chi non accetta il ruolo previsto dagli altri. Per chi non si lascia desiderare nel modo giusto, e perciò disturba l’ordine delle cose.

L’ipocrisia dell’amor proprio “condizionato”

Il paradosso è evidente anche oggi. Le stesse culture che ci insegnano a “volerci bene”, “prenderci cura di noi”, “splendere nella nostra luce”, sono pronte a puntare il dito appena qualcuno lo fa davvero — con fermezza, con libertà, senza chiedere scusa.

Sì, molti discorsi new age dicono: “Ama te stesso”. Ma appena lo fai con coerenza, con limiti chiari, con priorità, con la capacità di dire “questo non mi fa bene”… vieni etichettato come narcisista.

Allora viene il dubbio: ti è permesso amarti solo finché non disobbedisci alle aspettative altrui. Finché il tuo amor proprio non mette in discussione il bisogno degli altri di sentirsi indispensabili, amati, al centro.

Ma persino Gesù — figura di riferimento per l’altruismo — non ha detto: “Ama gli altri più di te stesso.”
Ha detto: “Ama il prossimo tuo come te stesso.”
L’amore per l’altro ha come misura l’amore per sé. Non lo nega, lo presuppone.

La doppia morale delle parole

In questo panorama si inserisce un’altra contraddizione, più profonda ma ben visibile nel linguaggio. Alcuni esempi:

  • Ti dicono di “cogliere le opportunità” — ma se lo fai troppo bene, sei un opportunista.
  • Ti esortano a perseguire il profitto, a “far fruttare i tuoi talenti” — ma se ottieni qualcosa, sei un approfittatore.
  • Ti incoraggiano ad amare te stesso, ma se questo ti porta a dire “no” agli altri, sei un narcisista.

Il linguaggio stesso diventa un campo minato semantico, in cui i concetti positivi si trasformano in accuse appena vengono messi in pratica con determinazione.

Ma non è il significato delle parole a cambiare: è lo sguardo di chi le pronuncia. Il giudizio nasce spesso da una delusione di aspettativa, non da una valutazione etica. E chi ti accusa, spesso, non vuole giustizia: vuole che tu torni utile.

Un mito sulla libertà che disturba

In questo senso, forse Narciso non è un monito contro l’autoreferenzialità.
Forse è un simbolo di libertà interiore che fa paura. Una libertà che non si lascia definire dai bisogni altrui. Una libertà che rifiuta il compromesso del piacere offerto in cambio dell’approvazione.

Ecco, forse il vero peccato di Narciso — oggi come allora — non è l’amore per sé stesso.
È la disobbedienza al ruolo che gli era stato assegnato.
È l’aver detto no, con innocenza e fermezza, a chi voleva appropriarsi della sua bellezza, della sua presenza, del suo consenso.

E forse, per chi è abituato a vivere attraverso l’altro, questa è davvero la colpa più intollerabile.

by Bruno